venerdì 7 aprile 2023

L'uva che uccide (vieni a morire in Puglia)


“Sono le due del mattino: ma è già tardi. Ho appena finito di preparare lo zaino dei miei figli, caricato la moka e messo la frittata nel panino di mio marito.

Bisogna far presto a scendere subito altrimenti ti fregano il posto. Devo andare nei campi, sopravvivere!

Mettermi in attesa assieme alle altre perché non posso permettermi di perdere questi 29 euro di oggi. Passano e se non ti vedono in mezzo a tutta quella calca perdi la giornata, non ti scelgono.

Dicono: siamo fortunate perché abbiamo le dita piccole e possiamo ancora lavorare. Non ci lamentiamo o restiamo a casa, che di donne con le dita sottili, affamate e con un uomo che lavora a giornata e non prende sempre lo stipendio ne è piena la Puglia e tutto il sud Italia.

Vengono a prenderci coi pullman bianchi con i cestini attaccati sopra. Sembra di andare in qualche pellegrinaggio, dato che facciamo 200 km tra andata e ritorno. Ci portano loro, quelle che oggi si fanno chiamare agenzie turistiche, ma sono sempre i soliti caporali. Sempre i soliti padroni che ci chiedono 10 euro a viaggio e ci vietano persino di andare in bagno e di mangiare.

Ma come possiamo andare nei campi senza di loro? Qui c'è solo questa fatica e solo quelli la offrono. E allora siamo tutti insieme, in questa transumanza di donne come bestie, caricate anche in 25 a furgone.

Staccare un grappolo intero, togliere l'uva brutta e mettere il resto nelle cassette. Ripetere l'operazione, ripetere tutto per 14 ore, viaggio compreso. Senza pausa, senza bagno, sempre con le urla della fattora che ti dice di sbrigarti: dentro serre che raggiungono i 45 gradi. 3 euro all'ora il mio salario.

Dallo stipendio di fine mese però, scritto sulla busta paga, bisogna restituire al caporale sino a trecento euro.

La riduzione in schiavitù secondo i proprietari dei campi è giusta, è un servizio e va pur di ricompensata. Siamo in 400.000 in tutta Italia. L'80 percento sono neri africani, marocchini, bangla, pakistani ecc.

Numeri altissimi, non credevi?

Qualche volta una di noi donne muore per il troppo caldo com’è stato per la mia amica Paola. Oppure è un incidente stradale a uccidere 12 migranti tutti in una volta come ad agosto 2018 nel foggiano. Queste storie non hanno senso. Non capisco neppure perché se qualche brava persona difende anche i diritti degli stranieri a non essere sfruttati li insultate e li chiamate “buonisti” con tono dispregiativo.

Come fate a non vedere che difendere i diritti di qualsiasi nuovo schiavo significa difendere i diritti di tutti?

Anche i miei, un'italiana di 45 anni che vive in Puglia come un cane legato alla catena”.

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