MI CHIAMO MARINELLA, SONO SCIVOLATA MA NON SONO DAVVERO MORTA
Le belle canzoni d'amore parlano d'amore, i capolavori parlano di delitti e morte violenta.
Nelle storie drammatiche l'amore ce lo devi mettere tu, sfilartelo dalle dita, incastrarlo bene in ogni anfratto: è una scelta, perciò sono indimenticabili.
Dalla Calabria verso Milano con tutta la famiglia per sopravvivere, questa è la storia di Maria Boccuzzi. Una storia che finirà male: l'avete già capito e non farò nulla per illudervi del contrario.
Maria inizia a scivolare a 15 anni quando trova lavoro in una manifattura di tabacchi di via Moscova a Milano. Lì conosce Mario uno studente spiantato del quale si innamora perdutamente, ma al Signor Boccuzzi quel ragazzo non piace affatto e così Maria scappa di casa, forse senza una ragione, come un ragazzo segue un aquilone. Mario non è propriamente un Principe Azzurro con il rosso mantello e nel giro di un anno la storia finisce. Lo studente spiantato la molla su due piedi e lei, che ha rotto i ponti con la famiglia, rimane sola con il disonore tipico di una ragazza sedotta e abbandonata in quell'Italia prima della guerra.
In quegli anni una ragazza sola come Maria: bella, formosa, con una testa di capelli e mediterranea poteva fare solo due lavori: la soubrette o la puttana.
Maria sceglie la prima opzione e con lo strano nome d’arte di Mary Pirimpo, tenta di realizzare il sogno di diventare ballerina. Frequenta i locali di Milano dove conosce tale Jimmy, ex ballerino di fila di Wanda Osiris. Anche Jimmy non è propriamente un Principe Azzurro con il bianco cappello: di giorno venditore scioperato di assicurazioni, di notte animatore ruffiano di night club. Jimmy non aiuta Mary a entrare nel mondo della spettacolo, ma l'avvia ai viscidi baci senza sorrisi dei clienti. Maria è sola, sfruttata e scivola, scivola sempre più sino a che viene ceduta a tal “Carlone”, che di lavoro invece ne fa solo uno: il protettore.
Maria è rinchiusa in una casa di tolleranza, sempre più infelice e con mille clienti a bussare alla sua porta. Una casa di tolleranza con una metréssa significa ugualmente violenza, sopruso e altro, non illudetevi del contrario.
Arriva la guerra e Maria perde anche quel lavoro e si ritrova a fare la prostituta di strada.
28 Gennaio 1953, Maria è sola, fredda e con il corpo pieno di dolore, crivellata con sei colpi di calibro 6.35. Uccisa forse da un cliente violento, per un regolamento di conti, forse per questioni di droga o forse perché finita nella tratta delle bianche, nessuno saprà mai la ragione di questo femminicidio.
La Polizia chiude dopo poco il caso, perché, diciamocelo chiaro: “la morte violenta non è una conseguenza scontata del fare la prostituta?”.