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UN MINUTO
PER APPROFONDIRE
🦷💼L'impronta dentaria è una prova forense affidabile in quanto può fornire informazioni utili per identificare una persona, stabilire la causa della morte e valutare le lesioni dentali. 💪
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L'impronta dentaria è un'importante prova forense che ha rivoluzionato l'analisi dei crimini e ha aiutato a identificare numerosi sospetti.
Essa ha dimostrato di essere uno strumento di investigazione prezioso e affidabile, in grado di rivelare informazioni dettagliate sulle persone coinvolte in un caso.
Come esperto del settore, posso confermare che l'impronta dentaria è una delle prove forensi più risolutive disponibili ai professionisti della scena del crimine, utilizzata con successo in numerosi casi, tra cui omicidi, rapine, incidenti stradali, catastrofi naturali e anche in contesti militari.
L'impronta dentaria è un'informazione unica, come le impronte digitali e il DNA, che può essere utilizzata per identificare una persona. Ogni persona ha una configurazione dentale unica, formata dalla dimensione, forma e posizione dei denti.
La tecnologia dell'impronta dentaria è diventata sempre più sofisticata negli ultimi decenni. Oggi, la maggior parte delle impronte dentarie viene acquisita utilizzando un sistema di scansione digitale, che crea una rappresentazione 3D delle impronte dentarie.
Ciò permette di creare una rappresentazione digitale molto precisa della configurazione dentale di una persona, che può essere utilizzata per confrontare l'impronta dentaria con quelle dei sospettati.
L'esame dell'impronta dentale può fornire risposte a varie questioni in un'indagine criminale, ad esempio, può essere utilizzata per identificare un corpo, per stabilire l'età di una persona al momento della morte, per determinare la causa e la natura delle lesioni dentali, e persino per valutare se una persona sia stata vittima di abuso o trascuratezza.
In sintesi, l'impronta dentaria è uno strumento di analisi forense cruciale che può fornire informazioni dettagliate sulla configurazione dentale di una persona. Ciò può essere utilizzato per identificare sospetti, stabilire la causa di lesioni o morte, e molto altro ancora.
Come esperto del settore forense, posso confermare che l'impronta dentaria è un'arma formidabile nelle mani dei professionisti della scena del crimine, che li aiuta a svelare la verità e a fare giustizia.
Ti consiglio di approfondire il tema seguendo un corso serio e tenuto da professionisti riconosciuti.
Ci sono frasi che mitragliamo come raffiche di Ak47, lampi blu notte dai
fragorosi ratatà/ratatà/ratatà. Parole che bestemmiamo in serie velocissime
senza conoscerne le origini (oscure e malevoli, il più delle volte).
Ma
andiamo con ordine. Una piazza sferragliata da traballanti tram e passeggeri
in sandali e calze si apre sull'ingresso della Sveriges Kredit
Bank.
Siamo nell'agosto del 1973 a Stoccolma, fa caldo e questa storia durerà
altre 140 ore; vi consiglio quindi di mettere un album degli Abba, bere
qualcosa e stare comodi.
INTERNO GIORNO:
vetrate/scrivanie/valigette/soldi/cassiere e cinquanta formichine che brulicano affaccendate tra le colonne eleganti della banca
più famosa di Norvegia; tutte tranne una che rimane immobile in mezzo alla
scena. Jan-Erik Olsson, di professione rapinatore alquanto eccentrico e
imbranato estrae rapido un mitra che teneva sotto il giubbotto,
sventagliando una raffica di colpi verso il soffitto.
"Tutti giù per terra,
zitti e fermi" ordina.
Sembra una rapina perfetta, una di quelle di pochi minuti dove a rimetterci
è solo banca (e questo ci rende tutti felici).
Senonché una pattuglia di passaggio che sente gli spari chiama i rinforzi,
entra in banca e assedia il rapinatore (alquanto eccentrico e imbranato,
l'abbiamo già detto?). Lars è alle strette, decide così di liberare tutti i
presenti tranne 4 impiegati che tiene come ostaggio: la cassiera Elisabeth,
la stenografa Kristin, Brigitte, impiegata, e Sven, 25 anni, che era stato
assunto da pochi giorni.
Benvenuti nella Sindrome di Stoccolma. Olsonn si barrica nel caveau ma
prima che la porta venga chiusa formula le richieste per non uccidere gli
ostaggi: un'auto veloce, tre milioni di Corone e che venga liberato il suo
amico Clark Oluffsson, all’epoca in prigione.
La polizia accetta anche se in realtà non ha nessuna intenzione di far
scappare Olsenn. Olufsson venne liberato e inviato dentro il caveau con un
telefono per permettere a Jan-Erik di trattare con le autorità.
Clark Oluffsson all’epoca aveva 26 anni e diversi precedenti penali, tra
cui una condanna per rapina a mano armata ma una volta all’interno del
caveau, secondo quanto raccontarono gli ostaggi, non si comporta come il
complice di una rapina. Clark ha tutta l’aria di chi non voleva trovarsi in
quella situazione ed è sempre gentile e premuroso.
Nel frattempo con i suoi modi bizzarri, anche Jan-Erik riesce ad
accattivarsi le simpatie e l’aiuto dei suoi sequestrati, che minuti dopo
minuto vedono nella polizia il vero pericolo.
Già durante il sequestro
accadono alcune cose che attirano l’attenzione sul rapporto che si sta
sviluppando tra ostaggi e rapinatori.
Durante il primo giorno, Elizabeth deve andare in bagno, non vuole farsela
addosso lì davanti a tutti e chiede cortesemente a Jan-Erik Olsson di poter
usare la toilette, unico inconveniente è che si trova in fondo al corridoio
a due passi dai poliziotti.
Sorprendentemente Jan accetta e Elizabeth,
nonostante fosse a pochi metri dalla liberà, una volta finito invece di
scappare ritorna dai suoi sequestratori (!)
Iniziano le trattative e Olsson parla al telefono addirittura con il Primo
Ministro svedese dell’epoca, Olof Palme. Durante la prima telefonata Olsson
minaccia di uccidere gli ostaggi e per sottolineare che non sta scherzando
afferra per il collo Kristin Enmark. Prima che Olsson riattaca il telefono,
il Primo Ministro sente le grida spaventate della donna.
Il giorno dopo ci fu un’altra telefonata. Kristin Enmark si scusa per come
si era comportata il giorno precedente e per le sue grida, accusando la
polizia di aver tentato di fare irruzione nel caveau chiedendo addirittura
al Premier che i due rapinatori e gli ostaggi venissero
liberati.
Nel frattempo la polizia aveva scavato diversi fori nel soffitto del
caveau, da uno dei quali aveva calato una macchina fotografica per scattare
alcune foto dell’interno. Olsson spara così due volte dentro alcuni dei
fori, ferendo un agente della polizia scientifica (alla mano e al
volto).
Temendo che la polizia volesse utilizzare i fori per pompare del gas dentro
il caveau, Olsson lega dei cappi intorno al collo degli ostaggi, in modo che
rimanessero strangolati se un gas di qualche tipo li avesse fatti
addormentare. Ma è un bluff: i cappi sono lenti e gli ostaggi addirittura si
aiutano tra loro nel legarsi le corde al collo. Il 28 agosto, cinque giorni
dopo, la polizia comincia a pompare del gas all’interno del caveau,
costringendo Olsson ad arrendersi. Oluffsson venne assolto.
Le testimonianze degli ostaggi sottolinearono che non era stato complice di
Olsson e che aveva cercato in ogni modo di aiutarli. Jan-Eirk Olsson invece
viene condannato a dieci anni per rapina a mano armata e una volta scontata
la pena inizia a vendere auto, sposa una ragazza thailandese dalla quale ha
ben 9 figli e vive una vita serena. Dopo la rapina una serie di racconti
degli ostaggi colpirono molto l’opinione pubblica e spinsero il criminologo
svedese Nils Bejerot a coniare l’espressione “sindrome di Stoccolma” durante
un’intervista televisiva.
La sindrome di Stoccolma è in genere descritta come una situazione
paradossale durante la quale gli ostaggi esprimono sentimenti positivi nei
confronti dei loro rapitori, trovandosi a dipendere completamente da loro:
trascurano il pericolo al quale sono sottoposti e scambiano la mancanza di
abusi da parte dei loro rapitori per atti di gentilezza.
In realtà la sindrome di Stoccolma NON è classificata in nessun manuale di
psicologia ed è stata nominata soltanto in un ridotto numero di studi
scientifici. Gli psicologi sono d’accordo sul fatto che rappresenta un “caso
particolare” di un fenomeno più ampio: i legami traumatici.
Ma di questi, forse, ce ne occuperemo un'altra volta.
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